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Il movimento contro il lavoro

Il New York Times l’ha ribattezzata l’era “dell’anti ambizione”. Che 47 milioni di americani abbiano lasciato il posto di lavoro in un anno, sostiene il quotidiano, non può essere considerata una questione legata solo al burnout o alla ricerca di un posto migliore. A due anni dall’inizio della pandemia, in effetti, i lavoratori di tutto il mondo appaiono stanchi. Salute mentale ed esaurimento sono diventate problematiche comuni, in particolare tra gli occupati a basso salario e quelli essenziali. E così, scrive la Bbc, è nato pure “il movimento anti lavoro”. L’omonimo canale di Reddit cresce dai 20 ai 60 mila utenti a settimana. Gli iscritti ci condividono esperienze, consigli su come chiedere condizioni migliori, organizzano proteste (come quella che ha preso di mira la Kellogg’s quando l’azienda ha cercato di sostituire i dipendenti in sciopero).

L’aria che tira Le persone sembrano improvvisamente essersi rese conto che lavorare non è tutto, e che i metodi di lavoro devono essere cambiati (Bbc). Dunque non è semplicemente un calo della motivazione, ma una vera e propria mutazione culturale, un rifiuto di vecchi ritmi snervanti. Le ragioni precise di questi cambiamenti nel mercato del lavoro restano comunque ancora misteriose. La ripresa dei posti di lavoro non è distribuita in modo uniforme tra i settori, né lo è il tasso di abbandono. I livelli di personale nei settori del tempo libero e dell’ospitalità, per esempio, sono ancora inferiori del 10% rispetto a quelli pre pandemici e, secondo il rapporto sul lavoro di dicembre, negli Stati Uniti è più probabile che le persone che lavorano in hotel e ristoranti abbiano lasciato il posto.

Api operaie o no? La pandemia – almeno così sembra – ha reso i lavoratori più consapevoli della loro insoddisfazione professionale. Quanto all’Italia, i dati futuri ci diranno sempre più in che direzione stiamo andando. Intanto, secondo un sondaggio di Bain & Company, il nostro Paese si collocherebbe agli ultimi posti per soddisfazione professionale. Solo il 60% degli italiani si dichiara infatti soddisfatto della propria occupazione (La Stampa). Tutti gli altri, soprattutto nella fascia 35-54 anni, sembrano essere delle “working bees”, api operaie che trovano significato e consapevolezza di se stessi solo al di fuori del lavoro, considerando l’occupazione un semplice strumento per pagare l’affitto.

 

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