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Alessandro Donadio: “Il lavoro del futuro? Avrà il purpose al centro

Il futuro del lavoro sarà un futuro nel quale il lavoro avrà un senso, vero e pieno. E per il quale, passerà anche il nostro modo di essere cittadini di questo mondo”. Alessandro Donadio non ha dubbi: su come definiremo il nostro modo di lavorare ci giocheremo una parte importante del futuro che ci attende. Per questo, il ruolo delle aziende e, più in generale, delle organizzazioni è cruciale. Organizzazioni che devono essere consapevoli della loro capacità formativa, e svilupparla. Associate partner di EY, una delle principali sigle della consulenza strategica, docente all’Università di Tor Vergata e saggista, Alessandro Donadio è una delle voci italiane più autorevoli sul tema del future of work e alle “learning organization” ha dedicato un agile testo pubblicato da Franco Angeli.

Alessandro, iniziamo dal principio. Le learning organization, esattamente, cosa sono? Ci puoi dare una definizione di questa espressione?

Possiamo dire che le Learning Organization sono quelle organizzazioni che hanno compreso, interiorizzato, che il più grande patrimonio che hanno a disposizione – la più grande fonte di antifragilità, come spiego nel libro – è la capacità innata di individui, e sistemi sociali, di apprendere. E che su questa consapevolezza basano la propria azione quotidiana.

Come può una “organization” diventare “learning”?

Non serve diventarlo: ogni organizzazione lo è. L’esercizio mentale che possiamo provare a fare è quello di “smontare” le organizzazioni per come le conosciamo oggi. Togliamo gli elementi materiali, poi gli asset tecnologi, i processi scritti, le pratiche, e domandiamo cosa resta: restano le persone –  o meglio le relazioni fra queste – e la capacità di apprendere di queste mentre svolgono le attività. Dalle più minimali alle più complesse.

Al centro del tuo lavoro di ricerca e di esplorazione c’è la persona, il singolo, con le sue attitudini e le sue potenzialità. Quale è la lettura che dai del rapporto che si sta costruendo tra persone e tecnologia, all’interno di un’organizzazione?

Si tratta di un rapporto che potemmo dire originario. Dal momento in cui il nostro progenitore, raccogliendo un legno a terra e usandolo per farsi strada nella selva, si è reso conto di come con questo egli si potesse estroflettere, allungare, aumentare, ecco che è iniziata l’umanità. Si tratta di una relazione biunivoca: l’oggetto inventato dall’uomo, lo espande, lo cambia. E cambiano così i significati stessi che egli dà alla vita. Non è questo l’impatto che osserviamo nella più recente rivoluzione digitale? 

Ci stiamo interrogando molto, proprio in queste settimane, su come evolverà il lavoro, dopo la brusca accelerazione impressa dalla pandemia a pressoché tutte le architetture organizzative. A tuo avviso, quale sarà la forma che il lavoro assumerà nel futuro che ci aspetta?

Ritengo nessuna forma prestabilita. Piuttosto ogni forma che permetterà a quella specifica organizzazione di adattarsi meglio all’ambiente. Ma anche – cosa auspicabile – ai valori di cui si vorrà fare portatrice. Certo, cogliamo che ci sono delle “forze” attive in gioco in questo momento: la maturità dei contesti digitali e la loro adozione ormai non più frenata da niente e nessuno. Ma anche un vento di ulteriore emancipazione di tutti noi, non solo dell’oggetto del proprio lavoro, ma anche del suo impatto sul mondo circostante. Sarà un mondo ibrido sul piano degli strumenti e risorse, e netto sul piano dei valori.

 Job hopping, Yolo economy, nomadismo digitale: sono 3 trend che affascinano molto la generazione dei più giovani, di coloro i quali stanno entrando ora nel mondo del lavoro. Che “lavoro” sarà, il loro lavoro?

Sarà un lavoro fondato sul Purpose, sulla ricerca e promozione di un senso. Certo che il potersi muovere, imparare, fare esperienze, rendersi autonomi, diventano dei must della idea stessa di lavoro per queste generazioni. Ma come dicevamo sopra, laddove queste condizioni si presentassero senza una dimensione di senso, allora saranno rigettate. I fenomeni hanno nel loro statuto di base – per quando informale e spesso inconscio – questa “tensione”. Servirà ascoltarli e decodificarli bene se non vogliamo sbagliare ad indirizzare le risorse. In una parola credo che il futuro del lavoro sarà un elemento fondamentale della costruzione di una cittadinanza moderna, nuova e consapevole. C’è molto da fare!

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